Parlare di Europa per parlarne male è ormai scontato. Parlare di Europa credendo ancora nei valori che ci hanno portato ad avere il più lungo periodo di pace nella storia secolare recente del vecchio continente, viene considerato impopolare o, nella migliore delle ipotesi, velleitario.
Invece, proprio davanti al fallimento dell’Europa dei numeri nei giorni del virus, è il momento di alzare la voce, di tirare fuori dall’angolo la tradizione e il DNA illuministico che abbiamo nel sangue. Quando ho scritto L’euro è di tutti, scelsi come sottotitolo ”con la moneta unica ci hanno guadagnato in pochi ora tocca ai cittadini”. Durante gli incontri e le presentazioni del libro, ho scoperto che in tanti vogliono dire la loro, alzare la voce per un’Europa più coesa, più solidale, più libera, meno ragioneristica. Questo è il momento di promuovere tali valori, senza intimidirsi, tenendosi per mano, anche solo idealmente, contro la paura e la voce grossa di chi vorrebbe sostituire la nostra casa comune con qualcosa di chiuso e respingente in nome di una patria che non c’è più. La Nuova Europa è nata dalle ceneri della guerra, dalla speranza di chi non crede alle frontiere, sui barconi dei disperati, nei centri di accoglienza, nelle associazioni di volontariato e giovanili. E’ l’Europa di tutti, è l’unico futuro possibile.
Per questo è urgente un Manifesto per la Nuova Europa. Solo gli insegnamenti della storia giustificano il guardarsi dietro le spalle. Lo ha evocato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso al Parlamento di Strasburgo. E tante altre lezioni andrebbero ricordate per uscire dall’assedio in cui sta precipitando un intero continente. Luigi Salvatorelli, nel dicembre del 1944, scrisse questi passi illuminanti. ‘’Ancora oggi l’Europa ha una funzione nella civiltà umana che altri non può adempiere, deve tenere un posto per cui non è pronto il successore. La civiltà delle altre parti del globo o è figlia dell’europea o almeno è stata fecondata dall’incrocio con essa. Né la figliolanza è così adulta o la trasformazione così avanzata, da poter dare il congedo al genitore o fecondatore. Noi crediamo che questo compito l’Europa, anche dopo tanto disastro, abbia la capacità di realizzarlo’’.
Il disastro a cui alludeva lo storico giornalista era evidentemente quello della guerra ma anche della disintegrazione di ogni convivenza civile e culturale. Proprio quello che sta accadendo di nuovo a causa della pandemia di covCovid-19. Qualcuno può obiettare che non sia ancora questa la funzione di leadership che spetta al nostro continente, spazzato ancora oggi da rinnovate pulsioni nazionalistiche?
Noi europei siamo oggi il 7% della popolazione mondiale, produciamo il 25% e consumiamo il 50% del welfare. In Germania ne desumono che viviamo molto al di sopra delle nostre possibilità e che quindi bisogna fare di tutto per frenare l’aumento del debito e della spesa degli Stati che aderiscono all’Unione Europea.
Ma ciò non fermerà la decadenza di un intero sistema sociale.
Così come a nulla servirà l’erezione di nuove barriere per frenare i migranti e mettere in sicurezza i cittadini dalla furia terrorista, a Parigi come a Bruxelles o in qualsiasi altra capitale. O utilizzare la paura del Coronavirus per controllare i cittadini e mettere sotto tutela la democrazia.Ma non bisogna arrendersi, occorre uscire dall’isolamento geopolitico in cui l’Europa rischia di chiudersi tra un Fiscal Compact e una deroga solo emergenziale alle sue regole contabili.
Esiste un modo per mantenere vivido e presente lo spirito del Trattato di Roma e dei grandi europeisti, ed è quello di puntare sulla crescita delle persone come dell’economia, sulla formazione dei giovani e sulla consapevolezza di 500 milioni di cittadini. In questo contesto, nessun piano europeo di investimenti potrà restituire al nostro continente il ruolo perduto. Nessuna nuova frontiera potrà fermare la voglia di futuro e libertà. Nessuna guerra potrà ristabilire il diritto. Nessuna religione potrà sostituirsi allo Stato. Bisogna ripartire dalla cultura dell’individuo.
La cultura di essere diversi ma di avere le stesse ambizioni; la cultura di ambire al meglio usando al massimo livello la leva della solidarietà; la cultura di unire i popoli ricordandosi di quello che l’immigrazione da queste terre ha rappresentato per le odierne economie d’oltreoceano.
Lo spirito che deve accomunare chi vuole partecipare al progetto de La Nuova Europa, che vuole nascere ispirandosi ancora al celebre settimanale diretto da Salvatorelli, deve quindi partire da qui.
La Nuova Europa, per ritrovare se stessa dopo gli anni di crisi, e in vista di frangenti ancora più difficili, deve risuscitare quello spirito illuminista e visionario che ha contraddistinto la storia dell’uomo in tutte le sue più grandi manifestazioni, a partire dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo per finire al Manifesto di Ventotene. Uno spirito fatto di equilibrio e armonia; di totalità e di distinzione; di razionalità e di moralità. Dobbiamo tornare alla ragione, alla coscienza, all’umanità, alla competenza.
Per raggiungere questi obiettivi, che sembrano lontanissimi, solo perché viviamo in un’epoca dominata dai numeri e dalla paura, serve un cambio di mentalità, che riporti l’uomo al centro. Sia egli nato in queste antiche terre, sia egli proveniente da paesi in preda alla fame, alle guerre, alle persecuzioni. La sfida di oggi è quella di capire e promuovere l’Europa che vuole cambiare, senza condizionamenti esterni, senza interessi di parte o vincoli finanziari, con l’unico obiettivo di rendere tutti consapevoli della posta in gioco: la fortezza inespugnabile si sta tramutando in una prigione.
Per fare questo servono persone che abbiano in comune appunto equilibrio e armonia, totalità e distinzione, razionalità e moralità. Essi saranno i garanti di tutte le iniziative, culturali, solidali, innovative, della Nuova Europa.
Ribellamoci all’Europa dei numeri!