Il “progetto Spinelli”, approvato dal Parlamento europeo nel 1984, aveva fatto propria l’idea di Willy Brandt di attribuire alla nuova Unione competenze e strumenti per realizzare una politica della società (Gesellschaft politk) che, partendo dalla politica sociale, consentisse alla dimensione europea di garantire alle cittadine e ai cittadini beni pubblici che non potevano essere garantiti dagli Stati nazionali secondo una visione dinamica del principio di sussidiarietà.
Per il “progetto Spinelli”, le competenze europee nella politica della società dovevano essere concorrenti – e non condivise – rispetto a quelle degli Stati nazionali ispirandosi alla costituzione federale tedesca dove l’azione degli Stati federati è possibile solo laddove e fino a quando non è intervenuto il livello federale.
Fra le competenze concorrenti nella politica della società il “progetto Spinelli” collocava l’azione dell’Unione nella lotta alle epidemie e alle catastrofi (naturali o prodotte dall’uomo) lasciando alle istituzioni il diritto di scegliere il metodo più efficace per agire (art. 56).
Il progetto di Costituzione europea del 2002 aveva fatto un passo indietro simbolico nella definizione delle competenze sostituendo quelle concorrenti con quelle condivise pur mantenendo il principio secondo cui l’intervento dell’Unione esclude quello degli Stati membri nei limiti tuttavia della legge adottata dall’Unione e non per l’insieme della politica.
Contrariamente al progetto di Costituzione, la politica della salute è stata retrocessa nel Trattato di Lisbona al rango di una competenza di sostegno o di incoraggiamento e ciò riguarda anche il settore della protezione civile (art. 196 TFUE). Ancor di più, il Trattato di Lisbona prevede dei limiti al mercato interno per proteggere la salute all’interno degli Stati membri.
Cosicché gli Stati membri non hanno ritenuto di dover trarre una lezione dalla SARS, che fu l’epidemia esplosa nel 2003 molto simile al CORONAVIRUS, per dare all’Unione le competenze e gli strumenti per agire e combattere contro i rischi e le minacce transfrontalieri.
L’Unione europea non dispone di uno stock comune di medicine o di strumenti di protezione sanitaria come i respiratori nei reparti di rianimazione. Ancor di più, dopo la SARS si sono rafforzate le industrie extra-europee per la produzione di principi attivi (80%) o delle medicine (40%) che provengono dalla Cina e dall’India che producono il 90% della penicillina e il 60% dei vaccini con una accelerazione della globalizzazione che ha lasciato fuori l’Europa. L’assenza di una politica della salute europea si è associata all’assenza di una politica industriale europea.
Dal 24 gennaio in poi – quando il CORONAVIRUS ha colpito l’Europa in Italia – sono passati ben quarantacinque giorni di indifferenza, sottovalutazione, azioni in ordine sparso o addirittura atti ostili prima che l’Unione europea decidesse di tentare la via del coordinamento. Ursula von der Leyen ha atteso in silenzio quarantasei giorni prima di rivolgersi simbolicamente in italiano agli italiani dicendo: “non siete soli”.
Certo le misure sanitarie e le decisioni come quelle che sono state prese in un crescendo di rigore dal governo italiano spettano in primo luogo ai governi nazionali in collaborazione con le autorità regionali e locali.
Quella che è mancata in primo luogo è stata una politica di comunicazione coerente e uniforme per parlare ad una opinione pubblica contagiata non solo dal virus ma anche dalla paura e dall’insicurezza quando il valore aggiunto dell’integrazione europea dovrebbe essere quello di garantire la sicurezza.
Quella che è mancata è stata una rapida ed efficace azione della Commissione europea pretendendo dal Consiglio e dal Parlamento europeo di adottare misure legislative urgenti (che il trattato chiama pudicamente “di incoraggiamento”) per lottare contro i grandi flussi transfrontalieri, le gravi minacce contro la salute, l’allerta e la lotta contro le minacce (art. 168 TFUE) avendo preso atto con colpevole ritardo dall’OMS che il CORONAVIRUS è una pandemia (“diffusione in più continenti di un virus incontrollabile”) al contrario della SARS che era stata classificata come un’epidemia (“manifestazione frequente e localizzata ma limitata nel tempo di una malattia infettiva”).
Quella che è mancata è stata l’attivazione immediata delle clausole relativa al nuovo articolo del Trattato sulla protezione civile (art. 196 TFUE) per sostenere e completare l’azione degli Stati membri, promuovere una cooperazione operativa rapida ed efficace e favorire la coerenza delle azioni intraprese.
Quella che è mancata infine è stata la capacità del presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, di operare per facilitare la coesione e il consenso fra i capi di Stato e di governo con un ruolo che è stato svolto dal presidente francese Emmanuel Macron che ha ottenuto la convocazione – via conference call – del Vertice europeo.
Sappiamo che dopo la crisi sanitaria – che potrebbe durare ancora a lungo fino a che non sarà fermata la diffusione del virus e non sarà trovato un vaccino (europeo ?) – ci sarà il progressivo aggravamento di una crisi economica e sociale, secondo molti economisti, peggiore di quella scoppiata nel 2007-2008.
Ci sarà un soprassalto di responsabilità dei governi europei e della Commissione per rivedere drasticamente e con un alto livello di ambizione le prospettive finanziarie pluriannuali che dovrebbero iniziare il 1° gennaio 2021 trasformando nello stesso tempo il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) in uno strumento di crescita sostenibile e di finanziamento di investimenti europei e introducendo lo strumento di prestiti e mutui (EURBOND) riproposti recentemente da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio ?
Abbiamo bisogno di un bilancio federale dotato di imposte federali per garantire beni pubblici europei !
PIER VIRGILIO DASTOLI