di Andrea Muratore
Qualcuno sarà certamente rimasto stupito dall’estemporaneo ritrovamento in piazza di alcuni giovani, che hanno ribadito domenica primo dicembre Piazza Duomo a Milano. Effettivamente, a parte l’infatuazione di una parte dei giovanissimi per il Movimento 5 stelle che doveva aprire il Parlamento come una scatola di tonno e l’adesione di altri, per convinzione o tradizione, al Partito Democratico, gli altri partiti, vuoi per una età media abbastanza elevata o per un messaggio non particolarmente sensibile all’udito dei giovani, sembravano offrire poche possibilità di inclusione. Ma il dilagare dell’ondata populista e l’enorme crescita di consenso delle destre ha destato l’attenzione di alcuni studenti universitari bolognesi, che avvalendosi degli istantanei mezzi di comunicazione sono riusciti a propagare un messaggio fondamentalmente semplice con una velocità strepitosa. Si noti bene che i promotori di questa campagna di successo possono contarsi sulle dita di una mano, e questo la dice lunga sull’immobilismo e la passività quasi senile di certo elettorato che, dati anagrafici alla mano, dovrebbe mostrarsi ben più scaltro a recepire le istanze sociale contemporanee. Ma contentiamoci, per adesso, dell’effetto debordante che può avere la decisione di pochi sul tentennamento di molti. E agli stupiti basti ricordare, ancora, che quel grande Filosofo di nome Hegel teorizzò che ad ogni tesi (in questo caso l’istanza populista) segue necessariamente, in virtù della processualità di ogni cosa, un’antitesi (le cosiddette «sardine»). Quale sarà la sintesi tra questi due movimenti non ci è dato saperlo, ma nulla ci vieta di ipotizzare una possibilità.
Il populismo, in fondo, checché ne dicano i molti, non è un fenomeno recente. Se ne potrebbe parlare già dal discorso funebre che Marco Antonio tenne alla morte di Cesare e che Shakespeare rese immortale nel suo Julius Caesar. E sicuramente anche prima ci furono fenomeni analoghi, che qui non ricorderemo. Ma le prime forme “moderne” di populismo come noi le conosciamo partirono dalla Germania e più precisamente dalle allocuzioni nazionaliste di alcuni filosofi (Fichte), che invitarono il popolo tedesco a mostrare il proprio carattere. Il ‘900 raccolse questa infausta eredità portandola all’esito delle due Guerre Mondiali. Ma il populismo mutò radicalmente il 6 agosto del 1991, con la creazione del World Wide Web da parte dell’informatico britannico Tim Berners-Lee: da questo momento non serviva più l’interlocuzione tra due soggetti, ma tutti potevano parlare a tutti di tutto. Da questa confusione semantica sono nate le disparate correnti di populismo quali noi oggi le conosciamo. È evidente, quindi, che tra due messaggi di matrice politica opposta si possa ravvisare una stessa modalità di azione: pubblico in piazza, spettatori, oratori, slogan, simboli di partito e declamazioni. Ma la vera rivoluzione delle sardine è proprio questa: il messaggio veicolato è diametralmente opposto a quello delle destre populiste, ma anche le pratiche di applicazione sono, incredibilmente, dissimili da quelle cui siamo abituati: nessuno slogan partitico o associativo, nessun leader a pontificare e nessuno slogan, se non una semplicissima ma efficace lista di “proposte”: Solidarietà, Accoglienza, Rispetto, Diritti Umani, Intelligenza, Non violenza, Antifascismo e…Allegria! L’insieme delle proposte forma proprio il nome sardina, e l’immagine del pesce potrebbe richiamare, seppur vagamente, delle istanze ambientali.
L’ora dei giovani, restii ad indossare obsoleti ed affaticati simboli partitici, sembra essere finalmente scoccata, e le manifestazioni in programma a dicembre, a partire da quella di Milano, in alcune città italiane ce ne daranno un’ulteriore conferma.