Si parla tanto di tagliare le tasse ma da recidere, e con le cesoie più robuste in circolazione, in Italia ci sarebbe innanzitutto il debito pubblico. È una delle cause principali dell’alta pressione fiscale, perché costringe il Tesoro ogni anno a pagare solo di interessi una settantina di miliardi e questi soldi si trovano o con le tasse o con nuove emissioni di titoli di stato e dunque nuovo debito. Questo fatto condiziona fortemente qualsiasi politica economica.
Ebbene nonostante la considerazione sia lapalissiana, la palla di neve è ormai una valanga e stiamo tutti rintanati in baita nella speranza di salvarci. L’indebitamento pubblico cresce senza sosta e fa segnare nuovi record assoluti mese dopo mese, anno dopo anno, come se fosse impossibile anche solo pensare di ridurlo. Ad aprile, rispetto a marzo, si è registrato un incremento di 14,8 miliardi di euro, circa la metà della prossima manovra economica che il governo Conte dovrà fare per rispettare i vincoli europei. In tutto il totale è a quota 2.373,3 miliardi, nel momento in cui si scrive, ma il contatore gira vorticoso come quando si fa il pieno di benzina con un buco nel serbatoio. Considerato che in Italia, secondo gli ultimi dati Istat, ci sono 25.386.000 famiglie, è come se ogni nucleo avesse 93 mila euro di debito personale: un mutuo per una casa insomma, senza avere la casa e senza aver deciso di comprarla.
È dal 2011, anno della crisi finanziaria che questo trend rialzista va avanti senza sosta e sipuò dire che dal 2001, anno della riforma del titolo V della Costituzione, dodici mesi prima della nascita dell’euro, non c’è stato mai nessuno al governo che si sia sul serio posto il problema di cosa ne sarebbe stato dell’indebitamento statale una volta entrati nella moneta unica e avendo devoluto molte competenze alle regioni. Come nessuno si è mai imposto nel programma un concreto piano-argine all’evasione fiscale, un centinaio di miliardi di euro all’anno, all’estero o nelle cassette di sicurezza poco importa.
In prossimità del consueto braccio di ferro con Bruxelles sui nostri conti pubblici, è arrivato il momento di prendere coscienza che debito ed evasione sono la faccia della stessa medaglia, problemi che si alimentano da soli nel nostro paese: se sale l’evasione sale il debito pubblico e con essi il costo dei servizi non pagati da chi appunto aggira il suo dovere tributario. Inevitabile che crescano anche le tasse che gravano invece sui cittadini onesti, proprio per ripianare questa falla. Non c’è quindi che fare una cosa: aggredire l’evasione e tagliare il debito.
Partiamo dal primo nodo. Inutile favoleggiare di riduzioni fiscali, di flat tax, o di bonus bebè, famiglie e studenti. Finché verrà assecondata la rimozione collettiva di un problema che va affrontato con la stessa determinazione con cui si è combattuto il terrorismo e la mafia nulla cambierà. L’evasione fiscale, calcolata sommariamente intorno ai 100 miliardi di euro, è il vero cancro della società italiana, perché nei fatti impedisce allo stato di utilizzare questi soldi per ridurre il debito pubblico e pagare i servizi sociali. Chi evade non solo non fornisce il suo contributo di cittadinanza ma usa indebitamente tutte i servizi pubblici, comportandone di conseguenza l’aumento dei costi. Il tax gap, ovvero la differenza tra le imposte che si dovrebbero pagare e quelle effettivamente incassate dall’Erario, si è allargato a 111,6 miliardi di euro da 108 miliardi del 2012. Il buco di imposte pagate – rispetto al dovuto si impenna quando in ballo ci sono i redditi del lavoro autonomo e d’impresa: per questa tipologia di Irpef il tax gap si attesta al 59%, mentre per il lavoro dipendente è al 4% e per l’Iva al 30%. Serve perciò una legge chiara per punire gli evasori e premiare aziende e contribuenti onesti con una riduzione dell’imposte. Questa è l’ingiustizia sociale più evidente in Italia, che pervade una comunità intera. Ammettiamolo. L’evasione è uno Stato ombra nello Stato. Servono quindi leggi speciali.
Passando al secondo tema, è inutile girarci intorno, occorre agire anche qui. Per anni si è inutilmente parlato di un taglio del debito pubblico e della necessità di fare una stima degli assets statali da dismettere. L’ultima fatta risale a dieci anni fa. Il patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare, sarebbe pari a circa 400 miliardi di euro, da un’azione dell’Eni al faro sperduto in Sardegna. Occorrequindi una due diligence seria e immediata per capire due cose: a quanto ammonta attualmente questo patrimonio e quanti sono davvero i debiti fuori bilancio, quei ‘pagherò’ dell’amministrazione di cui non si trova traccia negli impegni di spesa, che sono ancora più pericolosi dei crediti della Pa. La Corte dei Conti è arrivata a stimare nel 10% quella parte di bilancio pubblico che non ha riscontri cartacei nei libri di bilancio. Una volta verificata l’entità di questo patrimonio, che spesso non produce alcun reddito, va messo a frutto emettendo titoli di debito nuovi che possano essere scambiati con altri già in circolazione, che andrebbero poi cancellati. Va deciso il canale di dipendenza dello stesso gestore del debito pubblico dagli istituti di credito che ancora oggi detengono nei loro bilancio un quarto dei titoli emessi dal tesoro e che ormai non sono più controllati da holding italiane. Il Tagliadebito serve ad affrancarsi dai propri creditori come la lotta all’evasione fiscale riduce l’onere dell’indebitamento. Saremo tutti più liberi.