Di Pier Virgilio Dastoli
“La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade ormai non lungo
la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore
socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che
concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del
potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle
forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari
nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come
compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale, che indirizzeranno
verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo
adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità
internazionale”.
Così scriveva il Manifesto di Ventotene nell’inverno del 1941 definendo i compiti del
dopoguerra concludendo:
“Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che
comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, poiché la situazione e
gli animi saranno favorevoli alla loro opera. Essi avranno di fronte partiti e tendenze
già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio. Poiché sarà
l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi: del movimento per l’Europa
libera e unita”.
Il testo esiste in tutte le lingue dell’Unione europea (e anche in arabo !) e varrebbe
la pena di diffonderlo in tutta Europa nei movimenti che stanno nascendo qua e là,
in modo spesso spontaneo e nella maggior parte dei casi l’uno indipendente dagli
altri nella solitaria convinzione che il metodo scelto e l’obiettivo adottato come
prioritario da ciascuno di essi sia il migliore per sconfiggere quelli che il “Manifesto”
chiamava partiti reazionari.
Pulse of Europe, Soul for Europe, New Europeans, Civico, Volt, 13-10, Alliance
Europa, Stand up Europe, DIEM25, PeoplesEuropeForum, Change of Course in
Europe, Citizens for Europe, Democracy International, Civil Society Europe, Empower
e la campagna di contro-informazione del Movimento europeo
(www.movimentoeuropeo.it) sono alcune delle innumerevoli iniziative che si sono
affiancate alle manifestazioni popolari contro la democrazia illiberale a Varsavia, a
Budapest e a Praga o contro il Brexit nel Regno Unito ma che non hanno ancora
trovato una strada comune per forgiare un unico movimento “per l’Europa libera e
unita”.
Nella maggior parte dei casi questi movimenti sono nati e restano al di fuori dei
partiti tradizionali, non hanno nulla a che fare con gli inconsistenti partiti europei,
sono per natura transnazionali e agiscono indipendentemente dalle organizzazioni
federaliste che a loro volta hanno evitato di “contaminarsi” con i nuovi movimenti
nella convinzione che il loro tasso di federalismo sia quasi inesistente.
Tutto ciò avviene mentre sono in atto manovre più o meno scoperte per far
convergere in un unico contenitore i partiti o movimenti sovranisti che in alcuni casi
sono giunti al governo (Italia, Austria, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca)
ma che, in generale, condizionano dall’esterno gli orientamenti delle forze politiche
tradizionali su temi sensibili come l’immigrazione, la sicurezza, la povertà e le
diseguaglianze.
Rovesciando il ragionamento del Manifesto di Ventotene, i partiti sovranisti hanno
capito che il fine essenziale della loro lotta politica nel 2019 sarà la conquista del
potere a livello europeo perché solo in questo modo essi potranno scardinare il
sistema dell’Unione e restituire, dal suo interno, la sovranità agli Stati nazionali.
I partiti tradizionali continuano ad agire con la vecchia logica secondo cui le elezioni
europee sono un secondo turno delle elezioni nazionali, convinti che la sconfitta dei
sovranisti in Europa suonerà la campana a morto dei nazionalismi a livello nazionale
e consentirà loro di governare l’Unione europea così come hanno fatto in questi
ultimi venti anni.
I sistemi elettorali proporzionali, che si accompagnano nella maggior parte dei paesi
europei a liste uniche nazionali, facilitano questa logica perversa cosicché avremo
alle elezioni europee un sistema piramidale con cinquecento partiti nazionali dai
quali ne scaturiranno centocinquanta che cercheranno di ricomporre la vecchia
geografia politica europea: PPE, S&D, ALDE, Verdi, GUE e tenere ai margini i tre
gruppi euro-ostili orfani degli euroscettici britannici.
Secondo questa logica perversa, i partiti europei cercheranno di ripetere l’esercizio
di apparente democrazia rappresentativa immaginato da Martin Schulz nel 2013 per
conquistare la poltrona di presidente della Commissione europea usando il
grimaldello dello Spitzenkandidat. Il grimaldello non funzionò alle europee del 2014
perché il PPE mantenne la maggioranza relativa di voti e seggi e fu così eletto Jean-
Claude Juncker, imposto da Angela Merkel al Congresso di Dublino per bloccare la
candidatura francese di Michel Barnier.
Il modello degli Spitzenkandidaten non funzionerà più nel 2019 perché né nel
Consiglio europeo né nel Parlamento sarà possibile ricostituire l’accordo di potere
fra popolari e socialisti e la frammentazione politica europea sarà ancora più grande
che in passato.
I sovranisti, usciti rafforzati dal voto delle europee, approfitteranno di questa
frammentazione per imporre un “governo” dell’Assemblea e dunque della
Commissione secondo il modello dei governi bulgaro o austriaco e cioè un’alleanza
fra popolari ed estrema destra con l’obiettivo di demolire l’Unione europea.
Tommaso Padoa Schioppa aveva intuito nel 1998 i rischi di un sistema di selezione
del Presidente della Commissione fondato sulla scelta del candidato proposto dal
partito a maggioranza relativa e aveva saggiamente suggerito un sistema di
coalizioni, da costituirsi prima e non dopo le elezioni europee.
Per vincere la battaglia europea contro i sovranisti dobbiamo tornare alla linea di
divisione suggerita dal Manifesto di Ventotene nel 1941 con una coalizione di
movimenti che indirizzi le forze popolari verso la creazione di una solida Comunità
federale anteponendo alla scelta del candidato alla presidenza della Commissione la
condivisione di un programma per la legislatura (che dovrà essere costituente)
fondato su alcuni elementi essenziali legati a beni pubblici a dimensione europea: lo
stato di diritto, l’eliminazione delle diseguaglianze, il governo dei flussi migratori e la
politica di accoglienza, lo sviluppo sostenibile, la sicurezza esterna e interna, il
governo democratico dell’economia e della moneta, un’identità multilivello, una
politica fiscale europea, una cittadinanza federale.
La scelta del candidato alla presidenza della Commissione potrebbe avvenire
attraverso primarie di coalizione in tutti i paesi europei sulla base del programma
condiviso per la legislatura rendendo così realmente democratico e partecipativo il
processo di formazione del governo dell’Unione.