di Alessandro Luna

 

Sull’appello di Walter Veltroni c’è poco da dire. Tutto giusto, tutto indiscutibile. La sinistra deve ripartire, la sinistra deve riavvicinarsi agli elettori persi, la sinistra deve combattere il populismo. Non credo che ci sia un elettore di sinistra che possa non essere d’accordo.

Ma nonostante ciò la lettera di Veltroni alla Repubblica non convince. Manca qualcosa, è incompleto tanto quanto l’appello di Carlo Calenda sul Foglio, tanto quanto tutti i discorsi fatti da intellettuali, elettori e politici nei mesi che vanno dal 4 Marzo ad oggi.

Si sono sempre dette le stesse, ovvie, cose. Abbiamo scoperto che la sinistra è in crisi e che i populisti raccolgono voti con una facilità impressionante. Un populista raccoglie un voto con uno sforzo minimo, un non-populista con una difficoltà estrema. A loro i voti arrivano, noi li dobbiamo cercare, strappare, conquistare.

Il problema è chiaro a tutti ma manca l’analisi. Sappiamo perfino come uscire da questa crisi. Ma ci fosse qualcuno che suggerisca il “come”. Dobbiamo riavvicinarci ai lavoratori: si, ma come? Dobbiamo renderci più appetibili: si, ma come?

Albert Einstein diceva che è “follia fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”. E allo stato delle cose attuali la sinistra ha deciso che vuole risultati diversi ma facendo esattamente le stesse cose di prima. Attenzione, se avessi la risposta in tasca sarei candidato alla segreteria del PD. Non dico che la soluzione sia facile, né alla mano. Ma quello che, da spettatore esterno, constato è che nessuno di quelli che dovrebbero trovarla sta andando in questa direzione. Nessuno spiega all’elettore cosa farà per riconquistarlo. E l’elettore, giustamente, non si sposta di un millimetro.

Ci si comporta come quei ragazzi che aspettano che la ragazza che piace loro venga a parlargli e si offra sua sponte, mentre i populisti la hanno inondata di chiamate, fiori, attenzioni. Stiamo aspettando che si lascino, ignari del fatto che dopo la rottura, se ci sarà, gli elettori andranno a cercare qualche altra storiella di poca importanza. Immensa per noi. Cosa chiediamo, allora, ai padri nobili? Un segnale.

La teoria si deve tramutare in pratica. E chi dovrebbe dettare la linea ci deve spiegare in che direzione marciare. Per esempio appoggiando ufficialmente un candidato alla segreteria. La politica non si fa solo con discorsi, soprattutto con atti politici. Prese di posizione, non analisi. Quantomeno gli elettori si riconquistano così. Un altro atto politico sarebbe quello di, finalmente, sinceramente, senza esitazione, dare un giudizio su Renzi e i suoi famosi “mille giorni”.

La sinistra ha governato per quattro anni. Non si può ignorare qualcosa del genere. Ricorda molto come il Partito Repubblicano, in vista delle elezioni del 2012 che vedevano contrapposti Obama, alla sua rielezione, e Mitt Romney. Alla National Convention dei Repubblicani non venne invitato George W. Bush e durante l’intera convention, e lo stesso si può dire dei precedenti rallies dei candidati, non vennero nominati né lui ne la sua amministrazione. I Democratici criticarono ai rivali il fatto di comportarsi come se gli anni di Bush non fossero mai esistiti. Si comportarono come se il loro ultimo presidente fosse stato Reagan.

Il PD rischia di fare lo stesso errore. E gli elettori vogliono un’analisi degli anni renziani. Non per forza positiva, non per forza negativa. Ma affrontare il fatto che la sinistra abbia governato per 4 anni è un dovere. E gli elettori lo apprezzerebbero.

Ma la sensazione sinistra è che nel PD non abbiano più la voglia, la forza e il coraggio di parlare con chi li ha votati e ora è diventato nazionalista.