L’Unione Europea che oggi conosciamo, purtroppo, non è nata solo dalle idee di quelli che sono considerati suoi padri fondatori: la realtà storica è altra. Testimone dei primi concreti passi di questa Unione economica fu anche “il Presidente più amato dagli italiani”, al secolo Sandro Pertini. Già partigiano e senatore, il 30 giugno 1949 il cinquantatreenne Pertini firmò un editoriale sull’Avanti, intitolato “L’Europa e il Piano Marshall”. Già al terzo paragrafo tuonava: “Ormai a tutti è noto che l’Unione Europea (ovviamente Unione Europea Occidentale, nata nel 1948, e non l’UE odierna) e gli organismi derivanti dal Piano Marshall non sono l’espressione spontanea della volontà e delle esigenze dei popoli europei, bensì sono stati artificiosamente creati con lo scopo politico di fare d’un gruppo di nazioni europee uno schieramento in funzione antisovietica, e con lo scopo economico di fare dell’Europa Occidentale un campo di sfruttamento della finanza americana”.
Un’Unione nata in contrapposizione a un’altra, che nel tempo ha tentato di costituirsi come “terzo polo” di potere. La storia dell’integrazione europea dopo il 1949 confermerà le parole del futuro Presidente della Repubblica Italiana.
Quella che oggi si cerca è una nuova Europa. Un’Europa che non è nata a Maastricht nel 1992, non è nata a Schengen nel 1985 (nonostante alcuni siano persuasi di ciò), non è nata a Roma nel 1957 né tantomeno è nata dalla Dichiarazione Schumann del 9 maggio 1950.
Una nuova Europa non è mai nata, nonostante gli sforzi di pochi uomini di buona volontà nel tentare di concepirla. Nel frattempo, altri concentravano tutti i propri sforzi in un vero e proprio accanimento terapeutico: salvare quell’Europa vecchia, corrotta da guerre e massacri che non sono mai veramente finite neanche dentro i suoi confini, logorata dalla ricerca di un potere economico e politico perso secoli fa e ormai vuoto di ogni più alto significato.
E la vecchia Europa ancora vive dentro alle stanze delle istituzioni dell’Unione. Il risultato, guardando a sinistra e a destra (dei due “centri” sarebbe più decoroso non parlare), è preoccupante da una parte e tragico dall’altra.
La sinistra, ovviamente, si divide: alcuni si arroccano intorno allo Stato come se ci fosse la possibilità che possa contare ancora qualcosa nella lotta per la difesa dei diritti, mentre altri si affannano a cercare un volto umano nella vecchia Europa.
La destra, invece, è compatta intorno a un paradigma: la vecchia Europa ci sta bene, ma noi dobbiamo avere semplicemente avere una fetta di torta più grossa. Un paradigma illusorio per chi lo vota e probabilmente lo voterà ancora: quella fetta di torta, finché ci sarà quella vecchia Europa, non verrà mai comunque spartita tra tutti i cittadini europei, ma contribuirà solo ad aumentare le diseguaglianze.
Diseguaglianze che crescono in maniera spaventosa e non accennano a diminuire, qui come come nel resto del mondo; e la vecchia Europa è sempre più complice di questo massacro, anche nei confronti di alcuni suoi Stati membri.
È qui che serve una nuova Europa. Già in passato ha dimostrato che può diventare un baluardo dei diritti sociali e civili inalienabili: oggi l’Europa deve necessariamente diventare progressista, perché sia la nuova Europa di popoli sognata dai suoi padri fondatori e non sempre la vecchia Europa di eterni vinti e vincitori.