Il reportage di Francesco Maselli per La Newsletter Marat racconta cosa sta provocando la riforma delle Ferrovie francesi in arrivo in Parlamento.

 

 

Questa che vedete è la pagina web del sito della Sncf, la Trenitalia francese. Il 16 aprile sarò a Strasburgo per seguire il discorso sull’Europa di Macron, ma non posso prenotare il mio ritorno né il 18 né il 19 aprile. I treni, però, non sono completi perché già prenotati, ma figurano in questo modo a causa dello sciopero generale delle ferrovie. Per evitare disagi ancora più gravi per chi deve prendere il treno ed evitare di dover trattare migliaia di domande di rimborso, la società ha deciso di rimandare la possibilità di acquistare i biglietti. Potremo farlo soltanto a partire dalle 17 del giorno prima. Un giorno di sciopero ci può stare, direte voi. E se fossero 36 in tre mesi? Chi ha letto la newsletter del 3 marzo sa di cosa stiamo parlando.

 

Il calendario vi dà l’idea dello scontro molto duro che oppone i sindacati e il governo, una protesta che nessuno si aspettava (eravamo tutti concentrati sulle eventuali proteste contro la riforma del lavoro in autunno, e invece lì tutto liscio), e soprattutto non in una forma del genere: la volontà è portare avanti un movimento usurante, con due giorni di blocco totale della rete intervallati da tre giorni di servizio normale (ma affollatissimo, perché tutti si precipitano a prenotare per tempo).

Perché i ferrovieri protestano? La risposta è meno tecnica e noiosa di quanto pensiate, e ha le radici nella concezione francese del servizio pubblico. Nelle sue memorie pubblicate postume nel 1974, Georges Pompidou, ex primo ministro di de Gaulle e suo successore alla Presidenza della Repubblica, descrive bene questo sentimento:

“Nel campo economico la nostra amministrazione è la figlia del governo di Vichy [il governo collaborazionista con i nazisti]. L’ossessione del controllo dell’economia discende dalla penuria patita tra il 1940 e il 1944. Si aggiungeva, all’epoca, la diffidenza maurrassiana verso l’economia liberale [Charles Maurras è stato l’intellettuale più importante della Francia di Vichy e uno dei principali sostenitori del Maresciallo Pétain]. Parallelamente, la Resistenza si nutriva della stessa diffidenza partendo da un’ideologia diversa ma da reazioni analoghe. Dalla fine della guerra, generazioni di funzionari sono state formate nello spirito che l’interesse generale si confonde non soltanto con la prevalenza dello Stato, ma anche con il suo interventismo e il suo sospetto verso l’iniziativa privata”.

A questo aggiungiamo cosa pensano oggi i francesi grazie al sondaggio realizzato da Kantar Sofres: il 46 per cento crede che lo stato non intervenga abbastanza nelleconomia.

Cosa prevede, dunque la riforma?

Verrà modificata la forma societaria della Sncf, che oggi impiega 146 mila persone ed ha un debito di circa 45 miliardi di euro: sembra che lo stato si accollerà il debito (anche se il governo non ha specificato in che modo e quando), e la Sncf diventerà una società di capitali (alcuni dicono che è il primo passo verso la privatizzazione, il governo ha subito smentito una possibilità del genere “nemmeno nei sogni”). Sta di fatto che la Sncf in futuro dovrà comportarsi come una normale azienda, gli attuali tre miliardi di deficit all’anno non saranno più consentiti in un regime di concorrenza, se la Sncf fosse una normale azienda privata avrebbe portato da anni i libri in tribunale.

L’altra modifica riguarda lo statut du cheminot, lo statuto dei lavoratori del settore ferroviario. La legge, modificata più volte, è del 1920, e assicura un trattamento di favore (alcuni dicono di privilegio), in virtù della particolarità del servizio pubblico assicurato: le ferrovie lavorano 24 ore su 24, non c’è distinzione tra giorni feriali e festivi, spesso i dipendenti sono costretti a dormire lontano da casa (d’altronde l’alta velocità è un’invenzione recente). L’età pensionabile è molto bassa: fino al 2016 i conduttori andavano in pensione a 50 anni e i “sedentari” a 55 da qui al 2024 l’età pensionabile passerà rispettivamente a 52 e a 55 anni.

L’impiego è garantito a vita salvo grave condotta anti professionale, i treni sono gratuiti per tutti i dipendenti e le loro famiglie beneficiano di sconti molto importanti. Il progetto del governo è eliminare questo statuto speciale e allinearlo progressivamente a quello degli altri dipendenti pubblici. Il motivo, come ha spiegato Macron a un ferroviere che lo ha fermato durante la visita al Salone dell’Agricoltura, la più importante esposizione agricola che si tiene a Parigi ogni anno: “Come faccio a giustificare il vostro statuto speciale quando gli agricoltori che sono qui non arrivano alla fine del mese?”.

Il governo ha subito spiegato che la riforma non si applica a chi oggi lavora nelle ferrovie, ma soltanto ai nuovi assunti. Ha anche aggiunto che i dipendenti della Sncf che decideranno di cambiare società una volta aperto il mercato alla concorrenza potranno mantenere il loro trattamento di favore. Ha anche fatto un passo indietro nel metodo: all’inizio aveva detto di volere utilizzare una legge delega per riformare tutto via decreto legislativo (il Parlamento vota un’autorizzazione quadro, il governo può emanare decreti che hanno forza di legge, prima che tutto il pacchetto venga approvato di nuovo dall’Assemblea nazionale. Niente dibattiti, niente emendamenti, tutto liscio e veloce, come per la riforma del lavoro), adesso invece la legge verrà quasi interamente discussa all’assemblea.

Il governo è stato molto aperto anche rispetto alle date di messa in concorrenza del servizio: i treni regionali saranno liberalizzati dal 2019, ma le regioni hanno la possibilità di rinnovare per 10 anni il contratto al loro operatore storico prima di essere costrette a indire gare d’appalto aperte a tutti; la regione Île de France, per la sua particolare configurazione, godrà di scadenze molto meno stringenti (dovrà applicare la concorrenza tra il 2023 e il 2039).

Ma allora qual è il problema?

Una delle interpretazioni più ricorrenti date dalla stampa (in particolare da Christophe Barbier e Raymond Soubie su France 5), è che il punto è politico, simbolico (come sempre!) e filosofico, molto più che tecnico. La ferrovia rinvia, per i francesi e in particolare per la classe operaia, a due momenti storici molto importanti, che danno una dimensione quasi epica al mestiere. Il primo è la costruzione della rete ferroviaria  e delle grandi compagnie, durante il Secondo impero di Napoleone III e la Terza Repubblica (il regime repubblicano durato dal 1870 al 1940), il secondo è la resistenza all’occupazione nazista attraverso sabotaggi, trasporto di merci e partigiani, e l’appoggio allo sbarco in Normandia (tutte attività pagate a caro prezzo, 820 ferrovieri furono fucilati, 1.200 morirono dopo essere stati deportati nei campi di concentramento).

Il governo ha mostrato di sottovalutare la capacità di mobilitazione politica di quella che una volta, nel vieux monde che Macron ha spazzato via, avremmo definito “classe operaia”. Una comunità di persone che sente sotto attacco la sua “identità” di cheminot: è vero, la riforma si applica soltanto ai nuovi assunti, chi è in sciopero oggi non è toccato dalle decisioni del governo, eppure parte dell’identità è la trasmissione. Sono andato a fare un giro alla Gare Saint Lazare di Parigi martedì per capire cosa vuol dire essere ferroviere: “Sono cheminot come mio padre prima di me e mio figlio farà il concorso”,  mi ha detto uno di loro, e in generale l’idea di essere custodi del servizio pubblico come missione familiare è molto radicata tra chi protesta.

L’atteggiamento del governo, quindi, che pensava di tranquillizzare gli animi non toccando direttamente i ferrovieri ha generato una rivendicazione in più: la protezione della categoria in quanto tale. Infine, un’altra questione sotterranea e più generale inquieta i ferrovieri, che hanno paura di vedere il loro mestiere scomparire. Il futuro del treno è automatico, tre linee di metropolitana a Parigi circolano senza conducente, così come le linee della metropolitana di Lille o il treno Orlyval che collega l’aeroporto di Parigi con la rete metropolitana. Il progetto del Grand Paris Express, che ormai conoscete se avete letto le puntate sulla Grande Parigi, prevede 200 chilometri di nuovi binari completamente automatizzati. Il trasporto è uno dei settori dove la tecnologia pone dei problemi immediati di convivenza tra uomini e macchine. Da questo punto di vista, il governo non ha dato grandi risposte né rassicurazioni.

I francesi non sono tuttavia tutti ferrovieri, come la pensa l’opinione pubblica?

I dati sono molto interessanti. Come vedete dal primo sondaggio, l’intervento del governo sullo statuto dei ferrovieri è molto condiviso dall’opinione pubblica. Per adesso non si vede un grande movimento sociale che possa fare convergere le varie lotte (studentesca, sindacale, statale) in una sola. In generale, vista anche l’irrilevanza degli oppositori politici più importanti, come Jean-Luc Mélenchon, che è sempre in piazza ma non decide né tempi né modi, né è invitato alle riunioni sindacali, sto notando che la protesta non riesce a trovare rappresentanza politica. Il primo che riesce a capire come intercettare il malcontento e riesce a capire come utilizzare i luoghi di conflitto per sfidare Macron ha un’autostrada davanti a sé. Per ora, nessuno ne è stato capace.

Allo stesso tempo in molti (56 per cento) credono che il governo debba modificare la riforma tenendo conto delle rivendicazioni di chi protesta. In altre parole: se ci sono scioperi per tre mesi e il paese si blocca, pretendo che il governo trovi una soluzione, non i ferrovieri. Una situazione molto complicata per Emmanuel Macron, che finora, coerente con lo spirito della Quinta Repubblica, non si è espresso sui temi ma ha lasciato in prima linea la ministra competente, Élisabeth Borne, e il primo ministro, Édouard Philippe. Probabilmente deve aver capito che la sua parola è attesa, e giovedì alle 13 farà un’intervista più generale in cui, immagino, affronterà la tensione sociale.

Fonte: Marat S02e13