Ma quanto valgono i dati personali? Nessuno sa ancora dare una risposta. Molto più chiaro cosa accada in un minuto su Internet. In un giro di lancette, si effettuano 900.000 logins su Facebook, si inviano 452.000 cinguettii su Twitter, si vedono 4,1 milioni di video su YouTube, si formulano 3,5 milioni di ricerche su Google, si postano 1,8 milioni di foto su Snapchat, si inviano 16 milioni di messaggi, si spendono 751.522 dollari. I calcoli alla virgola del World Economic Forum fanno riflettere ma non ci dicono quanto di ‘’noi’’ lasciamo al mondo che ci guarda, nel momento in cui facciamo click e riversiamo nell’agorà digitale i dati personali, gli sfoghi, le paure, i piaceri.
Se da tempo il dibattito sui Big Data, definizione in continua evoluzione anche per la sua origine semantica, è molto effervescente dal punto di vista dei risvolti economici legati a queste nuove commodities, nessuno ha ancora accertato gli effetti dell’economia digitale sui prezzi. Di sicuro c’è che l’inflazione è sparita. Si arrendano i banchieri centrali che la aspettano al livello del 2%. Quando in un minuto su Internet avvengono transazioni miliardarie senza entrare mai in un negozio tradizionale c’è poco da aspettarsi: i prezzi non potranno che calare.
Mentre Uber, AirBnb, e migliaia di altri fratelli, partoriti dallo stagno del web, fanno concorrenza a grandi gruppi multinazionali con milioni di dipendenti, Apple si prepara ad essere una banca, Facebook è il più grande giornale del mondo, Amazon e supermercati combattono la guerra decisiva della distribuzione. L’anno scorso il 28% degli americani, popolo amanti degli ipermercati, ha acquistato articoli alimentari o di drogheria online, mentre il contributo dell’economia digitale alla crescita europea nel decennio 2001-2011 è stato del 30%. È una gara a chi fa i prezzi più bassi. In questo contesto, quale azienda può alzare i prezzi quando il giro più breve d’orologio macina più di mille turbine di un’azienda old economy?