Il debito non si può cancellare. Pietra tombale della Corte di Giustizia Europea sull’utopia greca, portata avanti dall’ex ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis e dall’attuale premier Alexi Tsipras, di riuscire a redimere parte dell’indebitamento monstre del paese mediterraneo, mutuando una scelta del genere a quella applicata alla Germania sconfitta dopo la seconda guerra mondiale. La presa di posizione è arrivata con una sentenza specifica sollevata proprio da un cittadino greco.

Secondo il Trattato UE, i cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione e provenienti da almeno un quarto degli Stati membri, possono infatti prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione, nell’ambito delle sue attribuzioni, a proporre al legislatore dell’Unione di adottare un atto giuridico ai fini dell’applicazione dei Trattati («iniziativa dei cittadini europei»). Il sig. Alexios Anagnostakis, cittadino greco, questa la storia, è all’origine della proposta d’iniziativa dei cittadini europei «Un milione di firme per un’Europa della solidarietà», che ha presentato alla Commissione il 13 luglio 2012, in piena crisi del debito sovrano e con timori di Grexit. L’oggetto di tale iniziativa consisteva nel far riconoscere nella legislazione dell’Unione il «principio dello stato di necessità, in base al quale, quando l’esistenza finanziaria e politica di uno Stato è minacciata dal rimborso di un debito odioso, il rifiuto di pagamento di tale debito è necessario e giustificato». La proposta d’iniziativa fa riferimento alla politica economica e monetaria (articoli da 119 a 144 TFUE) quale fondamento giuridico della sua adozione.

Con decisione del 6 settembre 2012, la Commissione aveva rifiutato la registrazione della proposta del signor Anagnostakis, argomentando che essa esulava manifestamente dalla sua competenza. Il tignoso Anagnostakis non si è dato per vinto e ha quindi adito il Tribunale dell’Unione europea chiedendo l’annullamento della decisione della Commissione. Con sentenza del 30 settembre 2015, il Tribunale ha respinto il ricorso del greco ritenendo che, con riferimento ai Trattati, la Commissione “non fosse legittimata a proporre al legislatore dell’Unione di riconoscere il principio in base al quale il debito pubblico dei paesi in stato di necessità dovrebbe poter essere cancellato”. Anagnostakis non si è dato per vinto e ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia per ottenere l’annullamento della sentenza del Tribunale. Ma lì si è fermato.

Con una sentenza resa nota il 12 settembre, la Corte ha respinto l’impugnazione del signor Anagnostakis e confermato, così, la sentenza del Tribunale. Queste le motivazioni: il Consiglio Ue può adottare misure di sostegno ai paesi in crisi economica ma che non riguardino ‘’misure che hanno essenzialmente come obiettivo di attenuare la gravità delle difficoltà di finanziamento di uno Stato membro’’. La Corte ha anche confermato che tale disposizione non può costituire una base per l’adozione di una misura o di un principio legittimanti, in sostanza, uno Stato membro a decidere unilateralmente di non rimborsare in tutto o in parte il proprio debito.

L’adozione di un principio dello stato di necessità, secondo la Corte, non può poi ‘’rientrare nella nozione di assistenza dell’Unione, in quanto un siffatto principio riguarda non solo il debito di uno Stato membro nei confronti dell’Unione, ma altresì il debito detenuto da altri soggetti pubblici o privati (tra cui gli Stati membri)’’. In conclusione, se non decideranno autonomamente i creditori, la Grecia dovrà rimborsare tutti i 295 miliardi di euro di prestiti avuti nel corso degli anni, pari al 180% del Pil. Da notare che lo stesso Fondo monetario ha affermato che tale debito, in gran parte in mano a istituzioni europee, non è sostenibile.