Perchè la vittoria di Macron non è una vittoria dell’ Unione Europea
Di Federico Castiglioni
Giovani Federalisti Europei
La notte è ormai scesa sulla piazza del Louvre, allungandosi sul suntuoso palazzo che la contorna, originariamente sede della monarchia e oggi simbolo della cultura francese nel mondo. Emmanuel Macron avanza con passo cadenzato e sguardo freddo verso la folla, passando dall’oscurità del cortile alla luce dei riflettori, con l’inno alla gioia come sottofondo. Non parlerà molto di Europa nel suo discorso successivo ma già questi pochi istanti bastano a suscitare l’entusiasmo delle cancellerie europee e delle istituzioni a Bruxelles, pronte a stappare bottiglie di champagne e a tirare, finalmente, un sospiro di sollievo. Per la prima volta negli ultimi anni l’Europa ha vinto e i populisti hanno perso. Le apparenze però non devono ingannare: la vittoria di Macron non è la vittoria dell’ Unione Europea, dei suoi leader o delle sue istituzioni. Al contrario la vittoria di Macron, fatto per qualcuno a Bruxelles potenzialmente pericoloso, è un grande trionfo per l’ idea di Europa. L’ Europa ha vinto questa battaglia, arrivando a sostegno di un’Unione ormai affaticata che in realtà rischiava di perdere, anche malamente, questa tornata elettorale. In realtà il migliore difensore delle politiche di Bruxelles, il conservatore dell’ UMP Francois Fillon, è stato pesantemente sconfitto e non è riuscito ad arrivare al ballottaggio. Chi difendeva le istituzioni europee e il loro operato, o chi parlava dell’ importanza dell’ Unione Europea come strumento economico ma non come senso di appartenenza, ha perso. I candidati che sono arrivati al ballottaggio mettevano invece l’Europa al centro dei loro programmi, entrambi critici verso l’attuale Unione: Marine Le Pen a favore di un indebolimento delle istituzioni sovranazionali per un ritorno ad un’Europa delle cooperazioni bilaterali, Emmanuel Macron per un rafforzamento delle istituzioni sovranazionali e la costruzione (o la riscoperta) di un senso di appartenenza europeo. La vittoria di Macron è tutta in quella camminata, mesta ma solenne, sulla spianata del Louvre. C’è da scommettere che da domani il presidente francese troverà nuovi nemici negli stessi che hanno celebrato il suo trionfo. Da una parte chi, nella Commissione e a Bruxelles, vede ancora l’Europa come un esperimento sovranazionale teso a raggiungere la massima efficienza economica possibile. L’ Europa di Macron ha il compito principale di “proteggere”, usando le parole del neopresidente francese, e quindi diventa più madre che organo tecnico, diventa più stato sociale che spazio di forsennata competizione (e non competitività). D’altra parte il grande nemico di Macron sarà, con tutta probabilità, anche la Germania. Se il presidente di En Marche! seguirà fedelmente il suo programma, Berlino sarà chiamata a dire la sua su diverse questioni che non vuole sul tavolo: possibilità di unione fiscale, allineamento delle leggi sul lavoro, unione della difesa con possibilità di dispiegare vere missioni europee e fine della delocalizzazione nell’ est Europa. Anche se c’è consenso, almeno apparentemente, sul fatto che Paesi dell’ est e dell’ ovest viaggino su due velocità diverse si dovrà comprendere quanta sovranità la Germania sarà disposta a condividere con gli altri Stati dell’ Europa occidentale.
In sostanza la grande lezione proveniente dal voto francese non è, come taluni credono, una particolare affezione dei francesi per Bruxelles e le sue istituzioni (la Commissione Europea per esempio non è stata citata quasi mai nei discorsi di Emmanuel Macron), ma un’irrinunciabile affezione per l’idea d’Europa e la conferma che una parte della nostra identità è ormai irrimediabilmente europea. Persino Il Front National con le sue velleità di costruire “un’Europa alternativa” non ha avuto il coraggio di negare quel sentimento che ormai è un patrimonio condiviso. E questo sentirsi europei non c’entra nulla con le leggi sulla privacy o con i regolamenti alimentari, per quanto importanti, e di sicuro non è connesso alla stabilità finanziaria o monetaria. Il sentimento europeo, all’origine della vittoria di Macron, è quel senso di appartenenza che viene da lontano, che è stato coltivato nel tempo e che è rappresentato plasticamente dalle organizzazioni europee della società civile, dalle reti giovanili e dagli scambi universitari, dai poli della ricerca, dalla possibilità di movimento all’ interno dell’ unione, dalla moneta (si, anche da questa) e dalla graduale formazione (o riscoperta) di una società europea. Quest’idea d’Europa, per molti ormai naturale e irrinunciabile, può essere la peggiore nemica dei compromessi, delle vie di mezzo e dei tecnicismi dell’Unione Europea.