Il testo che segue – a cura di Roberto Sommella – è stato pubblicato sull’ultimo numero speciale dell’edizione cartacea La Nuova Europa.
È la stampa, bellezza! È una delle battute cinematografiche più note di tutti i tempi. La dice uno straordinario Humphrey Bogart nella parte di Ed Hutcheson alla fine del film di Richard Brooks Deadline – U.S.A. (in italiano: L’ultima minaccia, 1952); e la dice con formula piena come si afferma nelle sentenze di assoluzione: «È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!». Certo, spiega la Treccani, quelli del direttore Bogart-Hutcheson erano tempi narrativi legati anche all’esistenza di un’opinione pubblica di una nazione ma il senso delle rotative che ruotano, delle presse che pressano; dell’inchiostro che stampiglia sulla pagina, nero su bianco, davano concretezza all’informazione. Questo è l’archetipo filologico dell’idea di stampa, di pubblicazione; di diffusione ragionata della conoscenza. L’allargamento del pubblico, non importa l’argomento ma comunque intuendo sottotraccia, da quel primo esperimento Gutenberg in poi, la possibilità di una memoria salvata; di una voce scritta che duri di più e arrivi più lontano. Che bella la stampa, fantastica, enciclopedica. Ma la stampa, la lettura, sono ancora così importanti?
La domanda possiamo porcela nonostante la crisi dell’editoria e la perdurante perdita di copie delle testate. A dispetto del disamore per la carta e dell’avvento dell’era digitale, politica, economia e finanza sembrano dipendere ancora fortemente dalle rotative e non solo per motivi di forza. Perché con la stampa si formano le coscienze, con tutto il resto si informa e ci si informa.
Non è poco. Una spiegazione che è rimasta storica e che ancora oggi è attuale l’ha data ottanta anni fa Alberto Moravia, scrivendo sulla Nuova Europa, la rivista da cui prendiamo nome e ispirazione e di cui riportiamo su questo numero alcuni articoli di pregio. Si trattava di un organo di informazione, un foglio, fondato dopo la seconda guerra mondiale da Luigi Salvatorelli e vissuto per soli quindici mesi. Ma che mesi. Quelli che avrebbero cambiato l’Italia e l’Europa dopo la sconfitta del nazifascismo e che avrebbero visto il mondo diviso tra i due blocchi vincitori del conflitto.
Ebbene sulla Nuova Europa, scriveva Moravia, esisteva un angolo di riflessione a trecentosessanta gradi alla ricerca di una terza via che non fosse quella del Partito Popolare o del socialismo stalinista. Per Moravia la diffusione della carta stampata non comportava affatto, come inevitabile conseguenza, la diffusione della cultura. Ciò che ha favorito il nascere di una cultura democratica nei Paesi europei sono state le libere esperienze di quei popoli nel
campo politico e morale; esperienze che si concretizzavano in credenze, in mode, in correnti di simpatie e di preferenze, e che fornivano a quei popoli uno strumento mentale per avvicinare con profitto le opere della cultura.
Avviene dunque per i popoli come per gli individui: ‘’le letture acquistano un significato soltanto se compiute in funzione di più larghe esperienze umane’’. Altrimenti la cultura diventa un mero passatempo e non c’è alcuna differenza tra l’operaio che legge la Domenica del Corriere e il borghese che si diletta di scorrere svogliatamente le pagine di Gide o di Huxley, rifletteva ancora l’autore de Gli Indifferenti, a quel tempo, si era a metà degli anni quaranta, quasi infastidito della sua enorme notorietà dovuta però proprio alla diffusione per stampa del suo lavoro più celebre.
Erano tempi terribili, nulla di paragonabile ai pur difficili anni che stiamo vivendo. Il 10 dicembre del 1944, proprio Luigi Salvatorelli, sul primo numero della Nuova Europa, scriveva così: Fra i mali causati all’Europa dalla guerra presente, e quelli delle guerre passate, nessun paragone è possibile; neanche per la guerra del 1914-18. La popolazione civile e i territori dietro i fronti, se si guardi a ciò che han sofferto e perduto oggi, può dirsi che allora non si accorgessero delle guerre. Questa d’oggi, per l’Europa, è stata veramente la «guerra totalitaria», per lo spazio in cui si è svolta e più ancora per ciò che è avvenuto in questo spazio mortale. Il che tuttavia non significa l’impossibilità per una guerra futura di riuscire più totalitaria ancora, fino alla distruzione pura e semplice dell’umanità e della vita sulla superficie del globo.
Come si giunse a propagare la religione dello statalismo totalitario? La via fu quella della negazione, prima cautelata e subdola, poi sempre più aperta, sfacciata. Frenetica, dei valori e del concetto stesso di umanità, dei principi universali su cui riposava l’edificio, gradualmente e laboriosamente innalzato, della civiltà umana. Venne svalutata e derisa la ragione, impugnata e sovvertita la morale. Un materialismo ora cosciente ora incosciente, ma sempre torbidamente misticheggiante, innalzò l’istinto sulla riflessione, il senso sull’intelletto, i muscoli sullo spirito, fino alla religione del sangue, letteralmente, fisicamente inteso.
Questa vecchia Europa, sconquassata, dilaniata, ridotta un cumulo di macerie, è ancora oggi necessaria all’umanità. Queste considerazioni Salvatorelli le faceva proprio sulla carta povera e pallida, esposta ad ogni genere di decomposizione del suo foglio, su cui si espressero i più grandi intellettuali dell’epoca e nella cui nascita ebbe un ruolo propulsore Raffaele Mattioli, il celebre fondatore della Banca Commerciale Italiana. Cosa sarebbe un’impresa editoriale
senza finanziatori illuminati…
Salvatorelli chiamava a raccolta col suo giornale tutti coloro che avrebbero voluto far parte del «partito unico del lavoro» che avrebbe dovuto superare le differenze fra socialisti e comunisti, quella terza via appunto, che avrebbe dovuto anticipare il momento in cui sarebbero stati sciolti i grandi nodi, ideologici e internazionali, che neanche la comune lotta antifascista aveva districato.
Ecco perché su tutto emergeva, ha ricordato uno storico e un giornalista di prim’ordine come Giovanni Spadolini, passato poi alla carriera politica,
la necessità di un partito della democrazia capace di bilanciare le tre forze in cui egli lucidamente vedeva articolarsi lo schema politico italiano del futuro, la
democrazia cristiana, i socialisti, i comunisti. Con un suo messaggio peculiare, con un suo specifico e inconfondibile programma riformatore. Il tutto con quella speranza e che a quei tempi era la volontà della ragione: è la stampa bellezza, e tu non puoi farci niente! Oggi diremmo, dovremmo dire tutti: è la democrazia, bellezza e non puoi farci niente. La stampa è anche questo.