Pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Roberto Sommella, Al verde, in libreria dal 29 ottobre per Rubbettino Editore. Il saggio è un manifesto del nuovo mondo, nel quale si contrappone la forza dell’Homo Legislativus a quella dell’Homo Sapiens in un contesto di continui mutamenti.
Dunque, l’uomo. Il terzo Virgilio, il terzo Homo Sapiens del nostro racconto è Edgar Morin. Il pensatore dei due secoli, colui che per primo ha parlato di avvento dell’Era ecologica negli ormai lontani anni settanta, quando ancora crescevano aziende, catene di montaggio ed esisteva il proletariato.
In tutti i suoi ultimi scritti ha messo in guardia l’intera umanità e ha affermato, anzi intimato: svegliatevi! Nel distinguere la profonda differenza che esiste tra realismo (quello che è) e utopia (quello che si vuole), Morin ha fissato in un pensiero la cifra del momento che stiamo vivendo. Il vero realismo, secondo il filosofo francese, sa che l’improbabile è possibile e che l’inatteso generalmente sopraggiunge. È quanto mai opportuno sapere che di fronte alle grandi rivoluzioni che stiamo vivendo e di fronte agli scenari di guerra che ci sovrastano nulla di acquisito è irreversibile, né la democrazia, né i diritti umani. Morin spiega che nessuna conquista di civiltà è definitiva: ciò che non si rigenera degenera: «Trockij credeva nella rivoluzione permanente, dobbiamo praticare la rigenerazione permanente». Il vero realismo, quello dei fatti, supera il cattivo realismo delle regole europee che si fanno cattiva utopia quando esse non fanno i conti proprio con la realtà.
Rinunciare al migliore dei mondi possibili, quello che viviamo da questa parte dell’oceano, non significa rinunciare a un mondo migliore. Morin è convinto che l’Era ecologica e un nuovo rapporto con la Natura, quella Natura che già Marx individuò come l’elemento di frattura nella trasformazione del contadino un operaio, possa trasformare in meglio la nostra società. Ma non, come pensano a Bruxelles, fissando a tavolino come si è visto le emissioni, gli incentivi fiscali e gli obiettivi di inquinamento, bensì producendo un mutamento di razionalità: ciò che era regressivo, conservatore, tradizionalista, il ritorno alla natura, può diventare improvvisamente un’esigenza di sopravvivenza e di nuova razionalità.
Oggi e domani, preconizza Morin, assisteremo a straordinari rovesciamenti di razionalità. Saranno le macchine o gli uomini a indurle? Questo dipende da noi. Ma una cosa ha insegnato la prima rivoluzione industriale vista con gli occhi del terzo millennio. La differenza tra le macchine viventi e le macchine artificiali attiene al fatto che le macchine viventi sono auto-organizzatrici e attingono la loro energia dall’ambiente, mentre sono gli uomini a rifornire di energia e a programmare le macchine artificiali che creano. Non è importante quindi, o quanto meno non è prioritario capire se l’AI può essere pericolosa, perché come tutti gli utensili può avere un doppio utilizzo. Diventa importante svegliarsi dal torpore esistenziale per tornare a guidare le nostre vite, le nostre società, senza farsi imporre dall’esterno, oggi un regolatore, domani un algoritmo che impone scelte e ritmi di consumo.
In questo ambito risulta fondamentale la capacità di immaginare ancora, quella dote dell’intelletto che rende gli uomini unici nell’universo e così diversi anche dagli adorati animali domestici. La capacità di immaginare di un artista con il cesello in mano di fronte al blocco di marmo diverrà anche quella delle persone che vorranno sfidare le convenzioni sovrane anche del loro pensiero. Solo riconducendo all’uomo tutte le virtù della sua razionalità e piegando ai suoi bisogni e ai suoi desideri l’Intelligenza Artificiale, si riuscirà a governare questa nuova straordinaria rivoluzione. Staccando la spina, quando si pensa di aver perso il controllo. Una volta riaffermata la propria identità, ci sarà da lavorare su quello che la rete vuole che noi uomini diventiamo: cattivi, irascibili, discriminatori, razzisti, nazisti. Ci sarà infatti la concreta possibilità che l’Intelligenza Artificiale amplifichi ancora di più la diffusione di fake news in rete, ampliando le disuguaglianze nell’accesso all’informazione di qualità, che in fondo significa essere liberi.
Questo è un tema molto serio cui le democrazie non pongono la dovuta attenzione. Soprattutto da quando (nel giugno del 2020) le notizie false in rete hanno superato quelle vere. I profeti dell’AI sostengono che questo rischio non ci sia perché dietro la macchina ci sarà sempre l’uomo. Una delle grandi capacità dell’Intelligenza Artificiale è quella di perseguire un obiettivo e di farlo come lo fa una macchina, cioè senza mai stancarsi, senza mai fermarsi. Alcuni esperti di etica dell’Intelligenza Artificiale sostengono però che una semplice macchinetta che produce spillette, senza un input umano, potrebbe portare al collasso dell’umanità. Come Charlot in Tempi Moderni, dove la catena di montaggio può alienare e portare alla distruzione, una macchina dal pensiero artificiale può condurre al dominio di questa sull’uomo.
Ci vorrà il buon senso di interrompere il processo quando le condizioni lo permettono. È una sapienza semplicemente umana. Il luogo della sapienza è il luogo dell’uomo. L’uomo deve essere al centro nel processo decisionale, o meglio ancora, occorre lasciare all’uomo un significativo spazio di controllo della macchina. Quello che serve, insomma, è uno sviluppo umano della macchina e una maggiore consapevolezza della propria identità. L’uomo se conosce sé stesso, controllerà la macchina? E l’Homo Sapiens potrà controllare l’Homo Digital grazie alle norme stilate dall’Homo Legislativus? La sfida è come giocare rispetto a cose che non godono della materialità e come porsi di fronte a loro. Si tratta di una partita diversa da quella che conosciamo e che ha sempre visto lo sviluppo degli strumenti fatti e pensati soprattutto per beni materiali, in una logica schumpeteriana dove la concorrenza non si fa sul prezzo ma sull’innovazione di prodotto. La partita sarà immaginare il futuro e guidarlo senza esserne dominati.
In quest’ottica dovremo garantire in futuro una parità di genere uomo-macchina? No. L’uomo dovrà restare sempre un livello sopra la macchina. Quando è stato coniato il termine robot esso veniva da una radice slava che indicava schiavo.
La macchina è al servizio dell’uomo e a tale servizio deve restare. Il giorno che la macchina fosse già equiparata all’uomo avremo un problema molto serio.