Giunto alla 34ª edizione, il Dossier Statistico Immigrazione è frutto dell’operato di oltre 100 studiosi e studiose del Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”. Il lavoro degli analisti restituisce la complessità del fenomeno migratorio nel contesto italiano e disegna uno scenario che va oltre l’andamento mutevole dei dati.

Tanto, infatti, il debunking di cui è portatore il rapporto rispetto alle credenze diffuse, soprattutto quanto si parla dei costi legati all’immigrazione e al numero degli arrivi. “Dobbiamo chiarire subito l’aspetto economico – spiega durante la presentazione del Dossier 2024 Alessandra Trotta, giurista e moderatrice della Tavola Valdese – in termini di peso sul welfare a fronte delle tasse versate, contrariamente a quanto si crede, il saldo è positivo. Un lavoro come quello del Dossier è perciò un lavoro sì scientifico, ma parimenti culturale che si pone come obiettivo quello di sollevarci dal peso delle false narrazioni” dal momento che “su un tema come l’immigrazione si basa l’idea e l’immagine stessa che abbiamo di società”.

E continua: “Possiamo oggi attestare che i flussi dal Mediterraneo siano diminuiti, ma in verità sono solo flussi respinti”. Ed ecco che si assiste alla facilità con la quale i numeri possono essere soggetti a manipolazioni informative: “Le persone che mancano dalle rotte non sono a casa loro e non hanno rinunciato al viaggio. Hanno solo scelto strade più pericolose, sono ora rinchiuse nei lager libici o sono state ricondotte verso il deserto da cui erano venute per far in modo che ci muoiano”. Analogamente il Dossier ci parla di un contesto in cui l’emergenza ambientale non è riconosciuta come un fattore di vulnerabilità e che, come afferma Laura Greco di A Sud, sfugge volutamente ai radar nella valutazione dei governi dei cosiddetti Paesi di origine ‘sicuri’ trascurando il nesso “tra povertà cronica, debiti, violazione dei diritti umani e conflitti connessi alla crisi climatica”.

Ma emerge anche il ruolo cruciale giocato dal fattore tempo in un contesto in cui si è convinti che allontanare sia la risposta per conquistare un vantaggio strategico:

Nel 2023 le navi civili umanitarie hanno portato in salvo in Italia solo 9mila persone (neanche il 6% delle 157.652 sbarcate in totale). Tra febbraio 2023 e aprile 2024 sono stati imposti loro 21 fermi e 446 giornate di inattività complessive, diminuendone letalmente la capacità di monitoraggio e soccorso, mentre nel 2023, a causa dell’assegnazione di porti lontani, hanno dovuto percorrere un totale di 154.538 chilometri (tre volte e mezzo il giro del mondo). Sono, queste, le omissioni di soccorso in mare, certamente le più visibili e brutali. Ma anche gli immigrati regolarmente presenti in Italia – oltre 5,3 milioni di residenti, di cui quasi 1 milione di minori, cui si aggiungono i titolari di permesso di soggiorno non ancora residenti e i non comunitari in attesa di riceverlo o rinnovarlo – subiscono omissioni quotidiane e silenziose, fortemente lesive dei loro diritti e che, nei casi più gravi, ne causano la caduta nell’irregolarità. Sono i ritardi della Pubblica amministrazione.

Anacronistico è poi considerare l’inverno demografico che stiamo attraversando come un tema esclusivamente legato alla tenuta economica del nostro Paese quando la chiusura delle frontiere e la fuga di cervelli si combinano in quello che sarebbe più corretto definire come sinonimo “di mancanza di visione, progresso e capacità di incidere sul futuro”, per riprendere ancora una volta le parole di Trotta.

A tutto questo si aggiunge un panorama normativo contraddittorio, costellato da strette securitarie e formule sempre nuove per contenere le persone migranti – si pensi allo stato in cui versano i CPR e ai primi esiti degli accordi con l’Albania – piuttosto che governare “un fenomeno epocale e strutturale, da cui dipenderà in grandissima parte il futuro delle nostre società”, come detto dal presidente del Centro IDOS Luca Di Sciullo.

È lui stesso a ripercorrere storicamente e a commentare quello che, più che a un quadro legislativo di riferimento, assomiglia a “un vero e proprio patchwork normativo […] di abiti consunti in cui – a forza di tagliare, stringere, rammendare e cucirvi toppe – non si riconosce più né la forma né la stoffa originaria”.

Non stupiscono perciò le sue parole quando afferma che la materia migratoria è “così ciecamente ideologizzata da ledere perfino gli interessi generali del Paese danneggiando il bene comune”.  Prende forma, anzi, una fotografia del presente che altro non è se non una cartina tornasole delle lacune giuridiche e delle derive sociali alle quali ci espone un simile clima d’intolleranza.

Ci troviamo a vivere, continua Di Sciullo, nelle “città di Caino” di cui parlava René Girard in La violenza e il sacro, quelle fondate sulla violenza fratricida normalizzata ed eretta a modello per la tenuta del potere costituito. Perché è su basi simili che per contrasto sorge la necessità impellente di trovare un capro espiatorio esterno da additare “dall’intera collettività come la causa di tutti quei mali sociali che” in vero “la affliggono dall’interno”.

Nel gioco delle parti la risposta questa volta è contenuta ne Le città invisibili di Italo Calvino ed è tanto amara quanto dirompente:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, inferno non è; e farlo durare, e dargli spazio.

L’ultimo appello è proprio questo: “Dentro le città di Caino il nostro compito è rintracciare e salvaguardare quei piccoli frammenti della città di Abele, sparsi qua e là come oasi di salvezza, e da lì cercare di ripartire”.

 

Nell’ultima edizione della rivista cartacea è disponibile anche l’intervista ad Antonio Ricci, vicepresidente IDOS. Il nuovo numero è disponibile anche in formato digitale: Acquisto Riviste | Associazione La Nuova Europa