Il Senato italiano ha approvato la ratifica dell’accordo sull’accoglienza e la gestione dei migranti firmato a novembre da Italia e Albania. Il via libera è arrivato dopo il parere favorevole della Corte Costituzionale albanese.
L’accordo tra Italia e Albania sui migranti è diventato legge. Il 21 marzo il Senato ha dato l’approvazione definitiva al disegno di legge di ratifica, dopo l’approvazione della Camera; il disegno di legge è stato ratificato con 93 voti favorevoli, 61 contrari e nessun astenuto. A fine gennaio, la Corte Costituzionale albanese ha confermato l’accordo firmato tra la premier italiana Giorgia Meloni e il suo omologo albanese Edi Rama, dopo una sospensione iniziale.
Si prevedeva che il progetto sarebbe stato attuato prima delle elezioni europee; tuttavia, è ancora in fase di sviluppo. In particolare, saranno istituiti 3 Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) in territorio albanese, uno per procedure di ingresso, già pronto e militarizzato, con carabinieri italiani, vicino al porto di Shengjin, successivamente i migranti saranno traferiti nell’area di Gjader: in un centro verrà svolto l’esame dell’eventuale domanda di asilo, l’altro avrà funzioni di centro di permanenza per il rimpatrio. Le strutture potranno ospitare fino a 3.000 persone contemporaneamente, per un massimo di 39.000 utenti l’anno.
I costi saranno completamente sostenuti dall’Italia e si stima che già solo il noleggio per tre mesi della nave che dovrà portare in Albania le persone migranti costerà 13,5 milioni di euro.
Anche dal punto di vista giurisdizionale la competenza sarà interamente italiana. Saranno a nostro carico le procedure di sbarco e di identificazione dei migranti che – entro trenta giorni dall’arrivo – saranno rimpatriati o trasferiti nel nostro Paese. Esclusi da queste operazioni i minori, le donne incinte e le categorie vulnerabili.
Cosa sono e quando nascono i CPR?
I Cpr sono strutture di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione (art. 14, D.Lgs. 286/1998). Istituiti dalla legge Turco-Napolitano sull’immigrazione nel 1998 e voluti dall’Unione Europea[1], in cui esistono centri simili, nascono allo scopo di trattenere cittadini stranieri che non potevano circolare all’interno dello spazio Schengen poiché senza permesso di soggiorno in attesa del rimpatrio.
Hanno cambiato molti nomi nel corso degli anni, Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), Centri di permanenza temporanea (CPT), Centri di identificazione ed espulsione (CIE) e infine, Centri di permanenza per i rimpatri; tuttavia, la loro sostanza è rimasta la stessa.
10 i centri all’attivo oggi, distribuiti in otto regioni italiane (inizialmente l’idea era di un Cpr per regione) con una capienza potenziale di 1.338 posti, di cui solo 619 effettivamente utilizzabili. Sin dal 2005 le evidenze che arrivano dai vari controlli e le testimonianze hanno fornito un quadro di strutture piuttosto degradate: segnalazioni di maltrattamenti, abusi e mancanza anche delle più basilari cure mediche
Dal 2013 le proteste sono assai frequenti e non si limitano a prendere di mira le strutture, anzi, le modalità più comuni riguardano quelle che hanno per oggetto il proprio corpo: varie forme di autolesionismo individuale o collettivo, come scioperi della fame e delle medicine o la protesta delle bocche cucite, un episodio del dicembre 2013 avvenuto a Ponte Galeria a Roma, in cui una decina di uomini si sono sigillati le labbra con ago e filo. Tra le diverse forme di protesta anche quella dei naked bodies, come è avvenuto il 10 febbraio 2024, dove 2 persone si sono denudate sotto la pioggia.
Il ricorso a gesti simili, spiegano gli stessi protagonisti delle vicende, in alcuni casi è l’ultima speranza di essere condotti in Pronto Soccorso e vedersi riconoscere la non idoneità alla vita nel Centro per essere finalmente rilasciati. La violenza su di sé in ambito detentivo è stata ampiamente studiata, e si configura tra le altre cose non solo e non necessariamente come una forma “somatizzata” di sofferenza psichica, ma anche come forma estrema di protesta nei confronti del sistema detentivo.
Altra grande criticità evidenziata da molti osservatori è l’impossibilità per organi di stampa di accedere a queste strutture così come stabilito nel 2011 da una circolare ministeriale
Quanto i Cpr sono coerenti con il Patto di immigrazione e asilo dell’UE?
Il 10 aprile il Parlamento UE ha approvato, tramite il Patto immigrazione e asilo, 10 regolamenti tra cui procedure accelerate alla frontiera per i richiedenti asilo che provengono da paesi considerati sicuri (scelta su base geografica e non individuale), estensione della detenzione amministrativa dei richiedenti asilo e meccanismo obbligatorio di solidarietà tra i diversi Paesi UE (ricollocamento dei migranti secondo un sistema di quote). Con quest’ultimo gli Stati si possono sottrarre all’accoglienza, versando una quota di denaro in un fondo comune per rimpatri; ciò limita accesso all’asilo e ai diritti a chi cerca protezione.
Gli Stati membri hanno negoziato per circa 3 anni (una delle procedure più lunghe nella fase negoziale nei 70 anni di UE) sulla questione delle migrazioni. Dal trattato di Lisbona del 2009 fino a oggi è difficile trovare momenti in cui l’Unione europea ha cambiato strategia; nel documento non si supera l’approccio hotspot, quando invece si dovrebbe parlare di politica comune. Andrebbe invertita la tendenza, non si può gestire un fenomeno migratorio attuando una politica di respingimento come primaria via di soluzione, in questo modo non agiamo ma spostiamo il problema, l’immigrazione esisterà sempre.
I CPR non possono essere l’unica forma di gestione dei rimpatri, bisogna garantire vie legali di accesso e agire per vie strutturali, stimolando la formazione professionale del migrante e la circolazione migratoria.
Da accoglienza a detenzione
Nella più recente normativa la parola accoglienza è stata sostituita con detenzione. La detenzione di queste persone, tuttavia, non ha nulla a che vedere con i reati commessi, ma solo con la regolarità dei propri documenti.
Nonostante secondo la Camera dei deputati italiana “in tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità” questi centri risultano essere estremamente violenti. Una violenza che riguarda il mancato accesso alle cure, e dunque nega il diritto alla salute, forme di repressione, minacce, abuso di psicofarmaci, privazione della libertà, offesa della dignità umana, violazioni continue dei diritti umani; violenza che parte dalla definizione di idoneità e finisce con il rimpatrio, spesso nel cuore della notte e senza preavviso.
Mentre il carcere ha ruolo istituzionale in quanto prevede il reinserimento sociale i Cpr no, non vi sono attività; sono luoghi in cui si consente che determinate categorie di persone possono essere trattate in modo diverso. Non c’è attenzione alla salute del singolo e, in buona parte dei centri, il personale medico è assunto con partita iva e non esiste una continuativa relazione con l’ASL.
Un sistema dannoso, che crea evidenti patologie anche a chi entra da sano. Verrebbe quasi da pensare a Bushim, la figura citata da don Milani nel suo celebre libro “Lettera a una professoressa”, che viene menzionato per rappresentare le contraddizioni interne dello Stato. La “doppia faccia dello Stato” con quel ruolo duplice e spesso contraddittorio: da una parte garantire i diritti ai cittadini, come l’istruzione, la salute e la sicurezza, e dall’altra, lo stesso Stato che può creare situazioni di ingiustizia o di diseguaglianza.
Si pensi al diritto derogatorio degli stranieri. Più di tutto però saltano all’occhio quei diritti fondamentali, che non possono essere derogati in un quadro che stride con la Carta europea e le tradizioni costituzionali comuni.
Questa doppia faccia rappresenta il conflitto tra i principi di giustizia e uguaglianza che lo Stato dovrebbe promuovere e le realtà spesso inique e discriminatorie che le leggi e le politiche statali possono produrre o perpetuare.
Si ringrazia il professor Claudio Di Maio per il confronto nel lavoro di analisi e ricerca.
Bibliografia e sitografia