Jacques Delors è stato il presidente della Commissione europeo più longevo della storia della Comunità. I  suoi 10 anni di mandato – dal 1985 al 1995 – sono stati il riflesso del suo spirito d’integrazione sovranazionale. Ripercorriamo i cardini della sua eredità politica.

Il 27 dicembre i cittadini europei hanno perso Jacques Delors, un “gigante” dell’Europa secondo le parole della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Grande politico francese che militò tra le fila dei socialisti, uomo delle istituzioni di Parigi e di Bruxelles, Delors è stato omaggiato con una commovente cerimonia di Stato nella capitale francese. A ricordarlo anche la Commissione europea che gli ha resto gli onori con una commemorazione il 31 gennaio.

A distanza di quasi 30 anni dalla fine del suo mandato a Bruxelles, le istituzioni ringraziano un uomo che tanto ha dato per la vita della Comunità contribuendo in particolar modo al completamento del Mercato Unico, alla nascita degli accordi di Schengen, all’apertura della strada per la moneta unica ad una fine pacifica della Guerra Fredda e alla conseguente apertura verso i Paesi dell’Europa centro-orientale. Se oggi parliamo di Unione europea, di cittadinanza comunitaria, di euro e di Europa a 27 molto lo dobbiamo a lui.

Non è un fatto scontato: la Commissione europea è un’istituzione unica nel panorama mondiale, tra le poche a potersi definire pienamente sovranazionale e detenere, al contempo, un effettivo potere esecutivo sugli Stati membri dell’Unione. Proprio per tale motivo, il concreto spostamento del baricentro del potere, della sovranità e delle prerogative statali verso la Commissione è dipeso in gran parte dalla figura del suo presidente. È chi ricopre questo ruolo che deve cercare di interpretare le competenze attribuitegli dai trattati in senso estensivo e comunitario. Il tenore del dialogo con gli Stati membri non può che essere un riflesso di quanto detto.

Delors fu tra i presidenti che maggiormente riuscirono ad erodere spazio alla sovranità statale che sorgeva da una forte gelosia nazionale: la politica economica e monetaria, l’unanimità delle decisioni prese dai capi di stato di governo per la comunità intera, l’assenza di democraticità nell’elaborazione legislativa con l’esclusione del Parlamento europeo, la concezione puramente economica della comunità sono ambiti che mostrano quanto la volontà di un’Europa delle Nazioni e degli Stati dovesse rimanere tale.

E così, con un continuo lavorio diplomatico che precedeva ogni proposta avanzata agli Stati membri, Delors riuscì a scardinare tanti dei tabù che oggi invece costituiscono la normalità nella vita dell’Unione. Da economista quale era mise al centro della propria strategia verso un’unione politica dei Paesi l’avvio di importanti manovra finanziarie, considerandole validi apripista di un processo non semplice. Proprio sotto la sua presidenza, la Comunità conobbe questa svolta di cui ricordiamo la procedura di codecisione, dell’elaborazione di criteri prima di tutto politici per l’adesione dei nuovi Stati dell’Europa centro-orientale – i famosi “Criteri di Copenaghen” – nonché l’importante principio di sussidiarietà per l’ampliamento delle competenze europee.

Per questo motivo però Delors non fu apprezzato da tutti i capi di Stato a lui coevi. A render plasticamente i dissapori tra l’europeismo della Commissione e i nazionalismi degli Stati membri fu lo scontro che vide l’inglese Margaret Thatcher frapporsi alla strada verso la moneta unica. Una battaglia che costò addirittura il seggio da premier alla Lady di Ferro dopo aver pronunciato alla Camera dei Comuni il furioso, quanto emblematico, No,No,No Speech. Parlando della volontà di Delors di estendere i poteri di Commissione e Parlamento, l’Iron Lady fu netta:

Yes, the Commission wants to increase its powers. Yes, it is a non-elected body and I do not want the Commission to increase its powers at the expense of the House, so of course we differ. The President of the Commission, Mr. Delors, said at a press conference the other day that he wanted the European Parliament to be the democratic body of the Community, he wanted the Commission to be the Executive and he wanted the Council of Ministers to be the Senate. No. No. No.

Quel 30 Ottobre 1990 segnò la fine dell’era Thatcher, sconfitta politicamente dai più alti vertici europei.

In un momento in cui nazionalismi e gelosie statali sembrano riemergere con più forza, ci chiediamo se il prossimo presidente della Commissione europea – che si insedierà proprio quest’anno – riuscirà a cogliere l’importante lezione lasciataci in eredità da questo “gigante” ponendosi con la giusta fermezza anche verso quei governi euroscettici che cercano di dire No, No, No al sovranazionalismo della Commissione.

 

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